i Briganti
Quando si parla del fenomeno del brigantaggio, e nel nostro caso dei Briganti d’Abruzzo, bisogna prestare molta attenzione e non lasciarsi prendere dagli entusiasmi: la storiografia è troppo spesso vittima di pregiudizi ideologici e schieramenti faziosi, che impediscono di analizzare i reali problemi e le cause che hanno portato allo sviluppo di questo fenomeno soprattutto nel centro-sud italiano. Siamo nel periodo successivo all’unità d’Italia, precisamente tra il 1860 e il 1870, in un decennio dove il fenomeno dei Briganti d’Abruzzo ha conosciuto probabilmente il suo maggior sviluppo.
Gli abruzzesi, dopo l’unificazione, ebbero come effetto immediato quello di un aumento impressionante delle tasse che generò fame, carestie e una povertà diffusa.
Per rispondere a una serie di ingiustizie, appropriazioni e violazioni, la popolazione si costituì in bande per ribellarsi a quanto stava accadendo. Le bande erano formate da contadini, disertori dell’esercito e contadini, dove ben presto ci fu chi si approfittò della situazione per far degenerare anche le migliori aspettative di rivalsa e rivendicazione di alcuni diritti elementari.
Questi presero il nome di briganti.
La storia dei Briganti
I Briganti si costituirono per rispondere a un malessere diffuso, figlio di vere e proprie ingiustizie, miseria economica e numerosi soprusi: la reazione fu quella, a tratti terribile e violenta, dei briganti che saccheggiarono numerosi paesi e castelli e arrivarono anche allo scontro armato con l’esercito regolare. Con tutte le conseguenze di sangue che è facile immaginare.
In Abruzzo il brigantaggio ha conosciuto anche diverse anime, comprese quelle di chi voleva il ritorno dei Borboni. I briganti del sud si spacciarono talvolta per esercito di liberazione: ad esempio in Abruzzo i Briganti combatterono al fianco dei Sanfedisti per rimandare ai Borbone il regno che avevano perso con i francesi.
In questo tipo di realtà, dove la fame, l’ignoranza e l’indigenza erano i tratti distintivi, molti delinquenti ne approfittarono per le loro attività. Con conseguenze tragiche e macabre di cui ancora oggi si conserva il ricordo.
Tra i Briganti d’Abruzzo più famosi troviamo Giuseppe e Felice Marinucci, Giuseppe Tamburrini, Pasquale Del Monaco, Antonio la Vella, Giovanni Di Sciascio, Nicola Marino, Salvatore Scenna, Domenico Valerio e molti altri ancora.
ninco nanco
Uno dei famosi briganti è Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco. Il brigante aviglianese partecipò a numerosi saccheggi, conquistando prima di tutto il Vulture, senza mai riuscire a prendere la sua città natia, Avigliano, poi gran parte della Basilicata, spingendosi fino all’Irpinia e alla Daunia, comandando la cavalleria dei briganti e dimostrando la sua padronanza in campo bellico. Non esitava ad aggredire le famiglie borghesi, ricorrendo al sequestro, all’omicidio e alla devastazione delle proprietà in caso di mancato sostegno.
Ninco Nanco era conosciuto, a quel tempo, anche per la sua impassibilità nel compiere atti ferini. La sua compagna, Maria Lucia Di Nella (nota come Maria ‘a Pastora), brigantessa di Pisticci, era sempre accanto a lui durante gli assalti e le imboscate. Secondo i racconti popolari della zona, quando Ninco Nanco strappava il cuore dal petto dei bersaglieri catturati, Maria gli porgeva sempre il coltello.
Ninco Nanco però si rese protagonista anche di atti generosi. Aiutava economicamente le sue sorelle, le quali versavano in condizioni misere ed, essendo profondamente religioso, mandava soldi ai preti affinché celebrassero messe in onore della Madonna del Carmine, la cui effigie portava sempre con sé al collo. Durante l’assedio di Salandra, risparmiò un sacerdote che, in passato, aveva aiutato la sua famiglia e gli garantì la sua protezione. Ninco Nanco depositò alcuni oggetti di valore nella cappella del Monte Carmine, che furono sequestrati e venduti per ordine della commissione antibrigantaggio nel 1863; con il ricavato vennero effettuati lavori di ristrutturazione dell’edificio.
Una volta, fermò un mercante di panni di Potenza confiscandogli una manciata di ducati ma, essendo una somma esigua, li restituì al depredato.
Nonostante verrà sempre ricordato come un «brigante tanto feroce e di indole perversa», appartenente ad una «famiglia degenerata», gli studiosi sosterranno che Ninco Nanco, avendo pietà della miseria, intimò il capobrigante Giuseppe Pace (detto Castellanese) a smettere di minacciare di morte i poveri, i quali non avevano la possibilità di sostenere le bande.
Ciuccolo
Angelantonio Masini, soprannominato Ciuccolo, fu tra i più temibili briganti postunitari e tra i massimi ricercati in Basilicata, dopo Ninco Nanco e Carmine Crocco.
Cresciuto nella miseria, sin da piccolo iniziò a lavorare come contadino e pastore. Era definito da fonti dell’epoca come un ragazzo prestante, di bell’aspetto e di alta statura. Raggiunta la maggiore età, venne reclutato nella fanteria dell’esercito borbonico ma disertò quando un reparto delle truppe borboniche si ritirò davanti ai garibaldini in Calabria, tornando nel proprio paese natio e rimanendo disoccupato.
Con l’Unità d’Italia e l’instaurazione della dinastia Savoia, rifiutò la chiamata alle armi e si rifugiò sul monte Volturino, formando, assieme al cugino Nicola Masini detto Colicchione, una banda di briganti.
Inizialmente attivo nella Val d’Agri, in seguito arrivò ad effettuare scorrerie nelle zone di Melfi, Matera e Terra di Bari, unendosi alle bande dei temibili briganti del Vulture come Carmine Crocco, Ninco Nanco e Giuseppe Caruso. Fu anche attivo nel Vallo di Diano e nel Cilento, saccheggiando in particolare le campagne di Montesano, Arenabianca e Padula.
Durante le sue grassazioni, conobbe Maria Rosa Marinelli, giovane contadina che abitava presso suo zio Francesco Nasca, dopo che suo padre fu arrestato con l’accusa di manutengolismo. La Marinelli, arrestata e poi rilasciata perché sospettata di connivenza con Masini, decise poi di seguirlo diventando la sua druda.
Mecola
Tristemente famosa per la sua crudeltà la banda del brigante Nunziato di Mecola, conosciuto come Mecola, un contadino nativo di Arielli (Chieti), che tra il 2 dicembre 1860 e il 6 gennaio 1861 capitanò una banda armata capace di trascinare con sé centinaia e centinaia di abitanti dei comuni contigui, gettò il panico i paesi di Arielli, Ari, Canosa, Tollo, Miglianico, Orsogna e Vasto in nome della restaurazione del governo borbonico di Francesco II.
1870
La fine dei briganti
Solo nel 1870, con la soppressione delle “zone militari”e dello stato di guerra nelle provincie del Centro-Sud, si poté dire ufficialmente chiusa la repressione militare del brigantaggio. Le bande erano state annientate.
Le gesta di alcuni tra i briganti più noti e temuti, diventeranno ben presto il soggetto di molte leggende popolari: un rapporto di amore-odio, simpatia e timore da sempre espressione degli ambienti sociali più umili.
Da quelle terre che hanno visto nascere le bande dei Briganti, sangue, scorribande e tanta voglia di riscatto è nata anche la storia della nostra famiglia e dei Vini Risogna.
Nonnina
Filomena
Filomena Pace è nata nel 1907 in un piccolo paese dell’Abruzzo chiamato Orsogna. Cresce in una casa modesta, ha amici che la chiamano “Minooch” e, quando ha vent’anni, incontra e si innamora di un uomo di nome Erminio.
Erminio era un direttore d’orchestra, vedovo e unico genitore di tre bambini molto piccoli al momento del matrimonio. Molte donne non avrebbero voluto farsi carico di tre bambini piccoli, ma questo non scoraggiò Filomena. Amava e cresceva quei bambini come fossero suoi. Con il passare degli anni, Filomena ed Erminio ebbero un totale di 10 figli.
Anche se la famiglia aveva difficoltà economiche, questo non fermò mai Filomena dall’impegnarsi per una vita migliore per lei e per i suoi figli. Inoltre, non ha mai smorzato il suo spirito amorevole e gentile.
Alla ricerca di una vita migliore per i suoi figli, dopo la morte di Erminio, Filomena si trasferì in America per portare con sé i due figli più piccoli. Un pezzo del cuore di Filomena rimarrà sempre a Orsogna con i suoi amici d’infanzia e la comunità che aveva amato.
Filomena ha lavorato a lungo nella fabbrica di abbigliamento di Philadelphia per sbarcare il lunario e non si è mai lamentata un giorno della sua vita. Dai nipoti ha ricevuto il nome affettuoso di “Nonnina”, nonostante la sua alta statura.
Quando morì nel 1997, Nonnina Filomena aveva 26 nipoti e molti pronipoti.
L’amore di Nonnina per la famiglia si è trasmesso ai suoi figli e nipoti per generazioni dopo la sua scomparsa. Il suo amore per la famiglia ha fatto sì che proprio questo vino arrivasse in America. I figli e i nipoti di Filomena sono stati cresciuti con un grande amore per la famiglia e, nel 2022, questo grande amore per la famiglia ha portato al ricongiungimento di due dei suoi nipoti.
La nipote di Filomena, Gabriella, e il suo fidanzato Michael sono volati in Italia per riallacciare i rapporti con il cugino Paolo. Quell’estate scoprirono che aveva avviato un’azienda vinicola, assaggiarono il suo straordinario vino e decisero di portare negli Stati Uniti proprio quel vino, proveniente dalla città natale di Nonnina, per fare lo stesso percorso che aveva fatto lei.
Gabriella è cresciuta particolarmente vicino alla sua Nonnina e ha avuto l’opportunità di vivere con lei in una casa di tre generazioni. Per rendere omaggio al loro bellissimo legame, Michael ha scelto di dare a questo vino il nome della donna che la sua fidanzata ammirava e adorava. Filomena è l’essenza dell’immigrato italo-americano.
Era una donna che lavorava sodo, fieramente leale e ama nte della sua famiglia sopra ogni cosa.
La storia dei Briganti
I Briganti si costituirono per rispondere a un malessere diffuso, figlio di vere e proprie ingiustizie, miseria economica e numerosi soprusi: la reazione fu quella, a tratti terribile e violenta, dei briganti che saccheggiarono numerosi paesi e castelli e arrivarono anche allo scontro armato con l’esercito regolare. Con tutte le conseguenze di sangue che è facile immaginare.
In Abruzzo il brigantaggio ha conosciuto anche diverse anime, comprese quelle di chi voleva il ritorno dei Borboni. I briganti del sud si spacciarono talvolta per esercito di liberazione: ad esempio in Abruzzo i Briganti combatterono al fianco dei Sanfedisti per rimandare ai Borbone il regno che avevano perso con i francesi.
In questo tipo di realtà, dove la fame, l’ignoranza e l’indigenza erano i tratti distintivi, molti delinquenti ne approfittarono per le loro attività. Con conseguenze tragiche e macabre di cui ancora oggi si conserva il ricordo.
Tra i Briganti d’Abruzzo più famosi troviamo Giuseppe e Felice Marinucci, Giuseppe Tamburrini, Pasquale Del Monaco, Antonio la Vella, Giovanni Di Sciascio, Nicola Marino, Salvatore Scenna, Domenico Valerio e molti altri ancora.
ninco nanco
Uno dei famosi briganti è Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco. Il brigante aviglianese partecipò a numerosi saccheggi, conquistando prima di tutto il Vulture, senza mai riuscire a prendere la sua città natia, Avigliano, poi gran parte della Basilicata, spingendosi fino all’Irpinia e alla Daunia, comandando la cavalleria dei briganti e dimostrando la sua padronanza in campo bellico. Non esitava ad aggredire le famiglie borghesi, ricorrendo al sequestro, all’omicidio e alla devastazione delle proprietà in caso di mancato sostegno.
Ninco Nanco era conosciuto, a quel tempo, anche per la sua impassibilità nel compiere atti ferini. La sua compagna, Maria Lucia Di Nella (nota come Maria ‘a Pastora), brigantessa di Pisticci, era sempre accanto a lui durante gli assalti e le imboscate. Secondo i racconti popolari della zona, quando Ninco Nanco strappava il cuore dal petto dei bersaglieri catturati, Maria gli porgeva sempre il coltello.
Ninco Nanco però si rese protagonista anche di atti generosi. Aiutava economicamente le sue sorelle, le quali versavano in condizioni misere ed, essendo profondamente religioso, mandava soldi ai preti affinché celebrassero messe in onore della Madonna del Carmine, la cui effigie portava sempre con sé al collo. Durante l’assedio di Salandra, risparmiò un sacerdote che, in passato, aveva aiutato la sua famiglia e gli garantì la sua protezione. Ninco Nanco depositò alcuni oggetti di valore nella cappella del Monte Carmine, che furono sequestrati e venduti per ordine della commissione antibrigantaggio nel 1863; con il ricavato vennero effettuati lavori di ristrutturazione dell’edificio.
Una volta, fermò un mercante di panni di Potenza confiscandogli una manciata di ducati ma, essendo una somma esigua, li restituì al depredato.
Nonostante verrà sempre ricordato come un «brigante tanto feroce e di indole perversa», appartenente ad una «famiglia degenerata», gli studiosi sosterranno che Ninco Nanco, avendo pietà della miseria, intimò il capobrigante Giuseppe Pace (detto Castellanese) a smettere di minacciare di morte i poveri, i quali non avevano la possibilità di sostenere le bande.
Ciuccolo
Angelantonio Masini, soprannominato Ciuccolo, fu tra i più temibili briganti postunitari e tra i massimi ricercati in Basilicata, dopo Ninco Nanco e Carmine Crocco.
Cresciuto nella miseria, sin da piccolo iniziò a lavorare come contadino e pastore. Era definito da fonti dell’epoca come un ragazzo prestante, di bell’aspetto e di alta statura. Raggiunta la maggiore età, venne reclutato nella fanteria dell’esercito borbonico ma disertò quando un reparto delle truppe borboniche si ritirò davanti ai garibaldini in Calabria, tornando nel proprio paese natio e rimanendo disoccupato.
Con l’Unità d’Italia e l’instaurazione della dinastia Savoia, rifiutò la chiamata alle armi e si rifugiò sul monte Volturino, formando, assieme al cugino Nicola Masini detto Colicchione, una banda di briganti.
Inizialmente attivo nella Val d’Agri, in seguito arrivò ad effettuare scorrerie nelle zone di Melfi, Matera e Terra di Bari, unendosi alle bande dei temibili briganti del Vulture come Carmine Crocco, Ninco Nanco e Giuseppe Caruso. Fu anche attivo nel Vallo di Diano e nel Cilento, saccheggiando in particolare le campagne di Montesano, Arenabianca e Padula.
Durante le sue grassazioni, conobbe Maria Rosa Marinelli, giovane contadina che abitava presso suo zio Francesco Nasca, dopo che suo padre fu arrestato con l’accusa di manutengolismo. La Marinelli, arrestata e poi rilasciata perché sospettata di connivenza con Masini, decise poi di seguirlo diventando la sua druda.
Mecola
Tristemente famosa per la sua crudeltà la banda del brigante Nunziato di Mecola, conosciuto come Mecola, un contadino nativo di Arielli (Chieti), che tra il 2 dicembre 1860 e il 6 gennaio 1861 capitanò una banda armata capace di trascinare con sé centinaia e centinaia di abitanti dei comuni contigui, gettò il panico i paesi di Arielli, Ari, Canosa, Tollo, Miglianico, Orsogna e Vasto in nome della restaurazione del governo borbonico di Francesco II.
1870
The end of the briganti
Solo nel 1870, con la soppressione delle “zone militari”e dello stato di guerra nelle provincie del Centro-Sud, si poté dire ufficialmente chiusa la repressione militare del brigantaggio. Le bande erano state annientate.
Le gesta di alcuni tra i briganti più noti e temuti, diventeranno ben presto il soggetto di molte leggende popolari: un rapporto di amore-odio, simpatia e timore da sempre espressione degli ambienti sociali più umili.
Da quelle terre che hanno visto nascere le bande dei Briganti, sangue, scorribande e tanta voglia di riscatto è nata anche la storia della nostra famiglia e dei Vini Risogna.
Nonnina
Filomena
Filomena Pace è nata nel 1907 in un piccolo paese dell’Abruzzo chiamato Orsogna. Cresce in una casa modesta, ha amici che la chiamano “Minooch” e, quando ha vent’anni, incontra e si innamora di un uomo di nome Erminio.
Erminio era un direttore d’orchestra, vedovo e unico genitore di tre bambini molto piccoli al momento del matrimonio. Molte donne non avrebbero voluto farsi carico di tre bambini piccoli, ma questo non scoraggiò Filomena. Amava e cresceva quei bambini come fossero suoi. Con il passare degli anni, Filomena ed Erminio ebbero un totale di 10 figli.
Anche se la famiglia aveva difficoltà economiche, questo non fermò mai Filomena dall’impegnarsi per una vita migliore per lei e per i suoi figli. Inoltre, non ha mai smorzato il suo spirito amorevole e gentile.
Alla ricerca di una vita migliore per i suoi figli, dopo la morte di Erminio, Filomena si trasferì in America per portare con sé i due figli più piccoli. Un pezzo del cuore di Filomena rimarrà sempre a Orsogna con i suoi amici d’infanzia e la comunità che aveva amato.
Filomena ha lavorato a lungo nella fabbrica di abbigliamento di Philadelphia per sbarcare il lunario e non si è mai lamentata un giorno della sua vita. Dai nipoti ha ricevuto il nome affettuoso di “Nonnina”, nonostante la sua alta statura.
Quando morì nel 1997, Nonnina Filomena aveva 26 nipoti e molti pronipoti.
L’amore di Nonnina per la famiglia si è trasmesso ai suoi figli e nipoti per generazioni dopo la sua scomparsa. Il suo amore per la famiglia ha fatto sì che proprio questo vino arrivasse in America. I figli e i nipoti di Filomena sono stati cresciuti con un grande amore per la famiglia e, nel 2022, questo grande amore per la famiglia ha portato al ricongiungimento di due dei suoi nipoti.
La nipote di Filomena, Gabriella, e il suo fidanzato Michael sono volati in Italia per riallacciare i rapporti con il cugino Paolo. Quell’estate scoprirono che aveva avviato un’azienda vinicola, assaggiarono il suo straordinario vino e decisero di portare negli Stati Uniti proprio quel vino, proveniente dalla città natale di Nonnina, per fare lo stesso percorso che aveva fatto lei.
Gabriella è cresciuta particolarmente vicino alla sua Nonnina e ha avuto l’opportunità di vivere con lei in una casa di tre generazioni. Per rendere omaggio al loro bellissimo legame, Michael ha scelto di dare a questo vino il nome della donna che la sua fidanzata ammirava e adorava. Filomena è l’essenza dell’immigrato italo-americano.
Era una donna che lavorava sodo, fieramente leale e ama nte della sua famiglia sopra ogni cosa.